In Giappone, la commercializzazione dei prodotti a tabacco riscaldato ha contribuito a far diminuire le percentuali sul fumo nel paese. Ma molti paesi ancora non ammettono il successo delle strategie di riduzione del rischio nipponiche
I prodotti a tabacco riscaldato vengono inseriti nella categoria di prodotti privi di combustione a rilascio di nicotina. A differenza delle sigarette elettroniche, dove il liquido viene riscaldato e assunto sotto forma di aerosol, nei prodotti a tabacco riscaldato una resistenza interna riscalda uno stick contenente il tabacco, simulando l’esperienza sensoriale della sigaretta.
Tra i prodotti più diffusi e conosciuti c’è IQOS, figlia del colosso Philip Morris, che proprio in Giappone ha conosciuto una diffusione senza precedenti, complice una specifica politica di apertura del paese.
Secondo l’analisi di un articolo apparso recentemente, la commercializzazione di IQOS in Giappone avrebbe contributo a una drastica diminuzione delle vendite di sigarette nel paese: da una percentuale di decrescita del 3% del 2016 si è passati all’11% degli anni successivi. In soli 7 anni, i 180 miliardi di sigarette vendute a partire dal 2015 sono diventati 100.
Un dato che va di pari passo con i tassi sul fumo in Giappone: un questionario promosso dal ministro della salute nel 2022 ha rilevato che, rispetto al 2019, anno in cui era stato condotto uno studio similare, le percentuali sul fumo maschile sono crollate del 3,4% (arrivando ad attestarsi al 25,4%), mentre quelle sul fumo femminile sono scese del’1,1,% (raggiungendo quota 7,7%).
Numeri che rappresentano un grosso passo in avanti: nel 2001, infatti, si parlava di quasi il 48% di fumatori tra la popolazione maschile del Giappone, ovvero 1 persona ogni 2. Ad oggi, gli stessi numeri rivelano che i fumatori uomini sono 1 ogni 4.
I dati che provengono dal Giappone rappresentano la conferma che una politica sanitaria multilaterale che comprenda regolamentazione e strategie di riduzione del danno può avere successo o devono preoccupare rappresentando l’avvento sul mercato di un prodotto sostitutivo al fumo?
Innanzitutto, in Giappone la diffusione delle IQOS è frutto di una precisa strategia sanitaria impostata su due linee di azione differenti: in primis, è stato deciso di vietare la vendita di sigarette elettroniche contenenti nicotina, permettendo il commercio di quelle prive di nicotina e dei prodotti a tabacco riscaldato.
La vendita e la commercializzazione di quest’ultimi è affiancata da una rigida normativa per quanto riguarda il fumo di sigaretta: le norme approvate nel 2010, infatti, vietano il fumo in alcuni luoghi pubblici o di lavoro e sulle strade. I regolamenti però variano da città a città, con zone come Osaka dove addirittura all’interno del perimetro cittadino sono state identificate sei aeree dove la sigaretta è completamente bandita.
L’esperienza del Giappone costruisce un esempio e un ottimo punto di partenza per valutare le scelte sanitarie integrate di un paese che ha deciso di scommettere su un prodotto per contrastare una situazione iniziale fuori controllo: con quasi la metà della popolazione maschile fumatrice, un approccio antifumo che si fosse basato semplicemente su norme e divieti non avrebbe ottenuto molto effetto nel lungo periodo.
Diversi esempi internazionali sottolineano come il semplice divieto solitamente apre le porte a un mercato parallelo illegale non controllato, con prodotti fallati che potrebbero causare danni molto seri per la salute. Senza contare che, molto spesso, i divieti non si accompagnano a un’altrettanta severità nei confronti delle sigarette, che continuano ad essere vendute ed utilizzate.
La scomessa del Giappone di aprirsi alle IQOS rappresenta una via alternativa. Un esempio che però viene anche sostenuto dai dati della ricerca scientifica. Sebbene si debba ancora investire in studi di follow up che valutino gli effetti a lungo termine del fumo elettronico, è altresì vero che il riscaldare il tabacco, e dunque in non bruciarlo, comporta la produzione e l’inalazione di molti meno composti dannosi e cancerogeni. Dato che ha anche una rappresentazione numerica: le sigarette elettroniche sono infatti il 95% meno dannose del fumo combusto.
“In Giappone, si sta verificando un cambiamento rivoluzionario in quanto le persone abbandonano le sigarette a favore di prodotti non combustibili più sicuri. Le vendite di sigarette sono diminuite drasticamente del 50% in soli sette anni, nonostante la presenza di un’unica alternativa sul mercato (i.e. l’IQOS)” afferma il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR. “Tuttavia, preoccupa la mancanza di interesse da parte delle istituzioni nei confronti di questo fenomeno di riduzione del rischio in Giappone. Se un progresso simile fosse stato raggiunto in altri ambiti, come la riduzione degli incidenti stradali, l’uso di oppioidi o l’esitazione verso la vaccinazione, è improbabile che le autorità sanitarie avrebbero reagito in modo analogo”
Rispetto alle motivazioni che spingono un consumatore a preferire le IQOS, molti giapponesi rispondo che i prodotti a tabacco riscaldato producono un esperienza di utilizzo più piacevole, oltre che rappresentare un’alternativa socialmente accettabile.
Eppure i traguardi del Giappone non conquistano i canali mainstream di comunicazione sanitaria: citando David Sweanor, professore aggiunto di legge all’Università di Ottawa ed esperto di regolamentazione del tabacco, se pensiamo a scenari opposti, come un raddoppio delle vendite di sigarette, ci troveremmo di fronte alla narrativa di una catastrofe. Quindi perchè il dimezzamento delle vendite di sigarette non conquista perlomeno il dibattito sul fronte antifumo? Questa è un’indicazione della rigida ideologia che circonda il mondo della riduzione del danno e delle strategie di controllo del tabacco.
Per quanto riguarda il discorso su un’eventuale sostituzione delle sigarette tradizionali con IQOS, ricordiamoci che il consumatore che utilizza questi prodotti è lo stesso che sceglierebbe le sigarette ed è lo stesso che è stato targetizzato per anni da politiche sanitarie ormai inefficaci. Aprirsi a questi consumatori significa rispondere ad un’esigenza sia di mercato che di salute, che potrebbe anche avere come fine indiretto quello di alleggerire il peso sul sistema sanitario, a causa della diminuzione delle patologie fumo correlate.
“Negli ultimi anni, si è notato un significativo declino della fiducia verso le autorità sanitarie. Forse coloro che ignorano o si oppongono all’esperienza giapponese dovrebbero riflettere sul proprio ruolo in questo contesto” conclude il prof. Polosa.
Abbiamo a nostra disposizione svariati esempi, come la Svezia e il Giappone o l’Inghilterra, dove si tenta di creare percorsi alternativi per il fumatore. Se si procedesse integrando l’esperienze di questi paesi con i dati della ricerca, forse si potrebbero varare politiche sanitarie internazionali più efficaci, contribuendo al grado di sviluppo delle stesse e fornendo nuove armi ai fumatori, che avrebbero dalla loro una maggior libertà di scelta.